Perché è necessario nel 2020 arrivare a un concetto di inclusione globale? Qual è il valore, quali i risultati attesi?
Credo che la crisi pandemica che abbiamo vissuto negli ultimi mesi abbia messo in luce l’opportunità, anzi la necessità, di un principio radicale di giustizia sociale. Se guardiamo alla crisi non con parametri buonisti (“andrà tutto bene”, “riprenderemo come prima”, …) o come una semplice parentesi che non metterà in discussione i valori che hanno guidato l’ordine mondiale sino ad oggi, allora apparira' chiaro che il principio di inclusione debba essere globale e non riferito unicamente ad un paese o ad una o più categorie sociali. L’uscita dalla crisi non potrà che essere “insieme”, ovvero rimettendo in discussione alcuni cardini del nostro sistema economico e sociale. La sostenibilità ambientale, sociale e il rispetto dei diritti e della dignità delle persone dovranno essere i pilastri su cui costruire questo processo di inclusione globale. Se non lo faremo, il rischio di conflitti tra generazioni,classi sociali, etnie e paesi diversi sarà sempre più alto. Non si può pensare di sopravvivere come genere umano in un pianeta malato e segnato da diseguaglianze inaccettabili.
Nell’edizione 2020 è stato presentato, e sottoscritto da organizzazioni e singoli, lo Statuto per la rinascita inclusiva. Quali sono i cardini attorno cui si fonda?
Sicuramente il cardine principale è che l’uscita dalla crisi, - tutti ci siamo tutti ritrovati all’improvviso disorientati e smarriti -, non puo' che essere insieme. Serve una cooperazione virtuosa tra persone, imprese e nazioni. Ho utilizzato spesso nei mesi scorsi una metafora presa in prestito da Erri De Luca: per ritrovare la rotta, dobbiamo fare come i salmoni che, per generare nuova vita, decidono di affrontare un viaggio controintuitivo, risalire la corrente per tornare alla sorgente. Solo se ritroveremo i valori costitutivi del vivere insieme, se faremo delle imprese e del lavoro degli strumenti positivi per la creazione di valore, allora potremo rinascere.
In secondo luogo, è apparso evidente come l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali sia una grandissima opportunità che, tuttavia, sta generando nuove disuguaglianze e nuove esclusioni. La strada è quella di tenere insieme le leve dell’innovazione digitale e dell’innovazione sociale.
Un terzo principio è relativo al fatto che la crisi pandemica sta ridisegnando le relazioni lavorative,formative e professionali. E questo avviene in maniera non sempre lineare. Nell’istruzione alcune fasce di bambini e ragazzi sono state tagliate fuori dalla formazione a distanza per carenza di strumenti e abilita' digitali; i lavoratori della logistica o dei servizi alle persone - che non possono certo svolgere il lavoro da remoto -, si sono trovati spesso in una condizione di scarso rispetto dei loro diritti e dei loro contratti. Attenzione, lo smart working rappresenta una rivoluzione importante, ma non è un'opportunita' per tutti..
Quarto principio: le imprese possono essere un soggetto portante per la creazione di nuovo valore. Le imprese che si sono ispirate alla sostenibilità ambientale e sociale, che hanno scelto di radicarsi nelle proprie comunità territoriali, sono quelle che sembrano maggiormente in grado restare competitive e di uscire positivamente dalla crisi.
L’ecosistema che avete prefigurato per l’inclusione globale comprende l’azione congiunta di Società civile, università, aziende, terzo settore. Ma quali ruoli diversificati devono e possono svolgere questi attori per una sinfonia armoniosa dell’inclusione?
Sicuramente ci sono ruoli specifici e diversi. Io vengo dal terzo settore e quello è il mio background, ma prefiguro un futuro di continua contaminazione tra i quattro attori che rappresentano l’ecosistema dell’inclusione. La contaminazione è fondamentale in questo processo, perche' consente di far transitare valori e competenze da un mondo all’altro. Stanno già nascendo esperienze positive. Per esempio l’esperienza di Roche, che ha coinvolto un certo numero di dipendenti per rispondere al numero verde istituito dal Ministero della Sanita' per dare informazioni ai cittadini durante il lockdown; la stessa TIM che ha messo a disposizione apparati e tecnologie per ospedali e scuole. Le aziende, quindi, in prospettiva potranno condividere le proprie competenze e tecnologie con il terzo settore.
Il terzo settore deve uscire, inoltre, da una logica di subalternità rispetto alle istituzioni pubbliche, non proponendosi unicamente come fornitore di servizi. Dovra' invece diventare un partner dell'attore pubblico nel progettare soluzioni nuove giungendo ad un welfare comunitario e inclusivo. I soggetti più fragili e deboli sono, infatti, quelli che hanno pagato maggiormente il costo della crisi.
Anche il rapporto tra terzo settore e universita' deve essere coltivato. Io stesso nei mesi scorsi ho creato un Osservatorio giuridico sul terzo settore, “Terzjus”, uno strumento per monitorare, accompagnare e sostenere l'attuazione della riforma del terzo settore avvalendomi delle competenze di un Comitato scientifico di grande autorevolezza.
Quali sono i principali trend dell’inclusione degli attuali anni ’20?
Risponderei citando alcuni casi interessanti.
Fra gli ospiti dell’evento Vincenzo Linarello, il presidente del consorzio GOEL che, a Locri, è riuscito a creare una rete di imprese cooperative agricole per offrire l’opportunità di valorizzare i prodotti di quella terra e creare lavoro per tanti giovani. Uno dei risultati principali lo ha avuto con il brand “Cangiari” che, si caratterizza per i suoi tessuti prodotti al telaio a mano recuperando l'antica tradizione della tessitura calabrese - di origine grecanica e bizantina – che, unita a ricerca e innovazione, dà vita a prodotti unici, con preziose rifiniture sartoriali destinate all’alta moda.
Cito anche l’esperienza di Jobmetoo di Daniele Regolo che, partendo dalla sua condizione personale, ha creato una realtà di inclusione per le persone con disabilità uditiva, dando vita un servizio di incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Ma il problema numero uno per l'Italia e' l'inclusione dei giovani e delle donne, Non è un caso che l’ex governatore della BCE, Mario Draghi, abbia messo i giovani al centro del suo recente intervento al Meeting di Rimini: piu' investimenti in istruzione e lavoro per i giovani, questa la via per far rinascere il Paese.
C’è bisogno d innamorarsi di un’idea di futuro se vogliamo sconfiggere la paura e ritrovare lo slancio per tornare a crescere.
Il comitato, di cui lei è presidente, “Il Comitato Global Inclusion – Art. 3”, cita nel suo nome, appunto, l’Art. 3 della Costituzione della Repubblica Italiana. A distanza di 72 anni dalla sua entrata in vigore, cosa c’è ancora da completare per realizzare l’ideale di uguaglianza e pari opportunità su cui si fonda l’articolo?
Quando mi è stato proposto di presiedere questo Comitato, sono rimasto colpito da un punto. Il fatto che fosse stato colto che l’articolo 3 sia composto da due parti: la prima, quella più conosciuta, in cui si sancisce che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”; e poi la seconda, (meno citata) in cui si evidenzia il "compito" della Repubblica (e quindi non solo delle istituzioni ma di ogni attore dell’ecosistema) di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Istituzioni, persone, accademie, terzo settore, mondo del lavoro, tutti impegnati insieme. E non a caso viene usata la parola “lavoratori”, perché possiamo immaginare che le aziende debbano diventare protagoniste di questo cambiamento e sentire questo compito come un dovere. Il Comitato Global Inclusion ha ispirato le sue attivita' a questo "compito" e la manifestazione di quest’anno, centrata sullo Statuto di una “Rinascita inclusiva", intende promuovere e diffondere nelle imprese e nei luoghi di lavoro non solo la cultura ma anche la pratica dell'inclusione.