Immaginare il futuro delle imprese, del lavoro e della società significa fare i conti con lo sviluppo tecnologico che più di ogni altro sta trasformando il mondo in cui viviamo: l’intelligenza artificiale. Dalla medicina alla robotica, dall’industria 4.0 fino alle prospettive delle auto autonome e delle smart cities, non c’è ambito che non possa essere rivoluzionato dall’innovazione più importante dai tempi dell’elettricità. Ma le potenzialità dell’intelligenza artificiale rivestono un ruolo cruciale anche per le Telco.
Una realtà come TIM è in grado, per esempio, di sfruttare gli algoritmi di deep learning allo scopo di ottimizzare i processi aziendali, gestire e automatizzare le interazioni con i clienti (al fine di offrire una customer experience sempre più personalizzata ed efficiente), reagire in tempo reale a situazioni inaspettate (aspetto cruciale, per fare solo un esempio, nel campo della cybersicurezza) e molto altro ancora.
ll ruolo centrale dei big data
Ma se il motore dell’intelligenza artificiale sono gli algoritmi di deep learning, la benzina che li nutre sono invece i big data, che una volta aggregati ed elaborati consentono di scovare correlazioni che per l’occhio umano sarebbero semplicemente invisibili. Ma da dove vengono questi dati? Semplice: dalla nostra attività online. Le interazioni sui social network, gli acquisti compiuti in rete, le ricerche effettuate su Google, gli spostamenti tracciati dagli smartphone e anche la temperatura impostata sul termostato intelligente: tutto ciò che facciamo online – o tramite apparecchi connessi alla rete – lascia delle tracce digitali che possono essere utilizzate per personalizzare i servizi e ottimizzare i processi. Non solo: in un futuro in cui tutti gli oggetti saranno connessi alla Internet of Things, i dati utilizzabili cresceranno esponenzialmente. Tutto bene, quindi? Non proprio, perché la gestione di una tale mole di dati (spesso personali e privati) richiede competenza, sensibilità, rispetto degli utenti e capacità di governare correttamente i flussi di big data.
Quando queste qualità non sono garantite, i pericoli sono dietro l’angolo. “I dati dei clienti possono essere utilizzati come armi contro gli stessi utenti”, ha avvertito infatti Tim Cook. Ma il CEO di Apple è solo uno dei tanti ad aver messo in guardia contro l’abuso dei dati personali. “Difendere la privacy significa difendere la natura unica di ogni individuo. Disporre di zero privacy vuol dire invece essere come una farfalla catturata per essere esibita”, ha spiegato durante una conferenza il filosofo di Oxford Luciano Floridi. In sintesi estrema, le garanzie indispensabili che bisogna offrire quando si raccolgono e gestiscono i dati di milioni di utenti sono tre: rispetto della privacy, trasparenza nell’utilizzo dei big data e capacità di sfruttarli nel modo corretto.
Se queste garanzie vengono meno, il rischio è di tradire la fiducia dei clienti, creare vere e proprie black box (algoritmi di cui è impossibile comprendere le azioni) e dare vita a quelli che sempre più spesso vengono chiamati “pregiudizi algoritmici”, causati da un uso scorretto dei dati che inevitabilmente darà risultati pessimi (come dicono gli scienziati informatici: “Se inserisci spazzatura, uscirà spazzatura”). A complicare il quadro c’è un aspetto che sta diventando sempre più evidente: spesso sono proprio le aziende il cui core business è costituito dai big data a essere più esposte a questi rischi. Le piattaforme OTT, la cui stessa esistenza dipende dai big data (social network, piattaforme di e-commerce, motori di ricerca e non solo), sono infatti costrette a estrarre una quantità crescente di dati e a trovare costantemente nuovi impieghi per le informazioni ottenute. Il loro modello di business si basa in larga misura su una raccolta dati sempre più pervasiva, che rischia proprio per questo di non essere né trasparente, né rispettosa della privacy (come numerosi casi di cronaca ci hanno insegnato) e di non essere impiegata nel modo corretto, dando vita ai casi di discriminazione e abusi che hanno coinvolto numerosi colossi del digitale.