Di comunicazione di crisi si parla da quasi mezzo secolo, ed è ormai una pratica consolidata quella di sviluppare processi, metodi e strategie comunicative ad hoc per affrontare le "tempeste mediatiche" che possono colpire, con tempi imprevedibili, aziende, istituzioni o anche singole personalità pubbliche.
L'irruzione sulla scena dei social media e del temuto "canale di ritorno", che offre visibilità immediata e potenziale viralità ai portatori di messaggi negativi, ha però ulteriormente cambiato le carte in tavola. Fino a qualche anno fa si pensava che la svolta digitale avrebbe semplicemente imposto una ulteriore accelerazione dei processi. Se è direttamente il consumatore a essere soggetto attivo di una crisi di comunicazione, è fornendo subito risposte autorevoli a lui, prima che ai tradizionali intermediatori (stampa, comitati, associazioni dei consumatori, ecc.), che è possibile affrontare efficacemente la contingenza critica. E' quello che riuscì a fare per esempio ENI, rispondendo su twitter, in tempo reale, all'inchiesta della trasmissione "Report" dedicata alle attività in Congo e Nigeria dell'azienda petrolifera, proprio mentre la stessa andava in onda sui canali nazionali.
Ma la transizione digitale non smette di rivelare nuovi trend di comportamento delle persone, e gli addetti ai lavori non possono esimersi da un costante aggiornamento professionale in materia. Se ne è occupata, lo scorso 18 Dicembre a Roma presso gli spazi del nostro TIM Innovation Hub, la FERPI (l'associazione degli operatori delle relazioni pubbliche) in un seminario che ha visto coinvolti alcuni dei maggiori esperti italiani del settore, come Daniele Chieffi (AGI Factory), Pierluca Santoro (DataMediaHub) e la giornalista Francesca Maffini.
Il nuovo, indiscusso protagonista delle crisi di reputazione online, ci hanno raccontato Chieffi e Santoro, non è più il "consumatore attivo", ma il generico "indignato". Il quale a volte è mosso da autentiche istanze di attivismo verso ciò che genuinamente considera ingiusto. Ma molto spesso utilizza la leva dell'attacco indiscriminato a qualsiasi "pezzo grosso" finito nell'occhio del ciclone come volano per la propria visibilità.
Il caso del crollo del Ponte Morandi a Genova è indicativo: non appena è stato possibile individuare dei colpevoli, tutta la discussione si è spostata su di essi. Il fatto di schierarsi a difesa o all'attacco di qualcuno ha moltiplicato a dismisura le interazioni su base quasi esclusivamente identitaria, rimuovendo in partenza qualsiasi reale confronto sul merito delle questioni.
La progressiva balcanizzazione del confronto pubblico, dovuta alla perdita di influenza dei corpi intermedi, pone nuove sfide per gli operatori del settore e ridefinisce la natura stessa della loro professionalità. E' richiesta non solo una maggiore flessibilità rispetto ai classici cicli di approvazione dei contenuti, ma in generale una maggiore disponibilità al dialogo e all'empatia.
Pier Luca Santoro, Data Media Hub
E' molto importante, inoltre, ricordare che anche se i media digitali hanno sconvolto i processi di gestione, le crisi più importanti nascono solo quando entrano in gioco i media tradizionali, che forniscono visibilità immediata, autorevolezza e credibilità agli "inneschi", anche e soprattutto quando partono in rete. Così come è fondamentale distinguere le crisi nate "sul campo", che potremmo definire strutturali, dai classici "social fail", che nascono da errori, sviste o messaggi inopportuni da parte delle comunicazione di una azienda o di una istituzione. In entrambi i casi vale sempre la regola di non comportarsi come gli struzzi: occorre ascoltare e, in casi opportuni, rispondere: per coinvolgere in modo trasparente le persone (social engagement), ma anche per offrire assistenza in caso di disservizi al consumatore (social caring). Solo attraverso una profonda conoscenza del mix degli strumenti a disposizione nel nuovo scenario sarà possibile trasformare le crisi in opportunità, trasferendo la percezione di una azienda o di una istituzione pronta ad affrontare il cambiamento di paradigma.