Come è arrivato il coming out in azienda?
Non ho mai ritenuto opportuno, se non con i colleghi con cui avevo più confidenza, parlare della mia vita privata, perché in questi casi c'è sempre un po' di timore, visto che non si sa mai la reazione dell'eventuale interlocutore. Nel 2013, però, con Elisa abbiamo deciso di sposarci e la questione era abbastanza complicata: la legge Cirinnà era ancora lontana, noi avremmo dovuto andare in Germania perchè in Italia non sarebbe stato possibile, e soprattutto non era previsto il classico permesso matrimoniale, a meno che non intervenisse l'azienda. Ho preso coraggio (e Elisa ha fatto altrettanto), ne ho parlato con i capi...ed è andata bene! Mi è stato riconosciuto un congedo retribuito equiparato alla matrimoniale! L'ho quindi detto ai colleghi, ed è stato un coming out "combo" perchè ho annunciato che mi sarei sposata, che l'altra persona era una donna e che sarei andata in luna di miele!
Tu e tua moglie siete state le prime persone in Italia a ricevere un permesso retribuito (tu da TIM) di durata identica alla licenza matrimoniale. Ora, per la nascita di vostra figlia l’azienda vi ha supportato con un sostegno economico per il percorso di procreazione assistita. Ci racconti questo nuovo capitolo della vostra vita?
Decidere di avere un bambino è una scelta che porta ad affrontare mille dubbi e mille ostacoli. Se poi si tratta di una coppia omogenitoriale i dubbi si moltiplicano e gli ostacoli pure. Il contributo straordinario da parte dell'azienda è stato sicuramente un aiuto per abbattere qualcuno di questi ostacoli. L'avventura è iniziata l'anno scorso con i primi viaggi a Valencia, ed è entrata nel vivo il 7 marzo con l'arrivo di Adele! Certo, la pandemia e la quarantena hanno reso tutto più strano, i dubbi restano, le paure di come la gente ci possa vedere idem, ma siamo state fortunate e vedere il sorriso di Adele tutte le mattine ripaga di tutte le fatiche fatte.
L’inclusione è stato un fattore determinate in maniera uguale sia nella tua esperienza di vita e che in quella lavorativa?
Leggendo i fatti di cronaca, specialmente gli ultimi, mi rendo conto di essere stata sempre molto fortunata, perchè nè in famiglia nè a lavoro ho mai trovato ostacoli o pregiudizi per il mio modo di essere, nè prima nè dopo il coming out. Rimane sempre, di fondo, il timore di poter incontrare prima o poi qualcuno che non mi rispetti per ciò che sono, ma la certezza di avere un supporto alle spalle, potendo contare su una famiglia che mi sostiene e su un contesto lavorativo inclusivo è senz'altro un punto di forza che mi dà coraggio consentendomi di affrontare i problemi con una marcia in più.
Quale è la tua idea di un’azienda “inclusiva”? In base alla tua esperienza è ancora possibile eludere questo approccio?
Quando ho chiesto la matrimoniale, nonostante mi rendessi conto che la richiesta fosse inusuale, la mia responsabile mi disse che avrebbe comunque continuato ad insistere per un esito positivo, non perchè fossi io, ma perchè riteneva che fosse un mio diritto. Questa frase, pronunciata con una naturalezza che purtroppo in un paese come il nostro non è così scontata, è alla base dell'inclusività. Quell'inclusività che, quando è praticata a livello aziendale, consente alle persone di lavorare in un contesto sereno, senza sentirsi sbagliate o escluse o trattate in maniera differente perchè etichettato come diverse.